martedì 2 dicembre 2008
martedì 4 novembre 2008
sabato 27 settembre 2008
martedì 5 agosto 2008
lunedì 7 luglio 2008
mercoledì 18 giugno 2008
Registrato al live club "All'unaetrentacinquecirca" di Cantù, 'Distratto A Sud' oltre ad essere un disco dal vivo è anche il primo disco degli Arturo Fiesta Circo capitanati da Sergio Arturo Calonego. Partenza di carriera anomalo quanto sorprendente se si considera che il disco è un piccolo drappo di stoffa pregiata. Un sestetto alle prese con uno swing jazz blues cantautorale che in parte fa il verso a Conte ed al Fossati penultima maniera, ma che in modo personale riesce a ritagliarsi uno spazio tutto proprio grazie a frequenti contaminazioni che hanno il sapore antico delle vecchie canzoni appassionate di uno chansonnier ubriaco, con l'anima a pezzi ed il cuore ancora disposto ad amare. Una piccola orchestra che tra un bicchiere e l'altro intrattiene con grazia ed una sottile malinconica ironia gli astanti attraverso liriche che toccano il quotidiano, le amarezze, le illusioni e le piccole soddisfazioni che la vita riserva all'uomo moderno. Una performance interattiva che dialoga frequentemente con il pubblico tra un brano e l'altro e che evidenzia anche lontano dalla musica un personaggio, Sergio, capace di catalizzare verso sé una partecipazione impegnata ed allo stesso tempo rilassata del pubblico. Non è facile parlare di brani in particolare, anche se "Rimini" emerge dal resto con il suo andazzo trasognato e triste e la sua melodia portante che ti trapassa il costato con il punteruolo delicatamente lancinante della fisarmonica di Armando Illario(sugli scudi anche nella suadente "Il Tango Dei Temporali"). Alla fine ne viene fuori un ritratto a tutto tondo di un circo che diverte e fa divertire, ma che non riesce a trattenere(forse non vuole neanche) un riflesso emotivo e mesto che bilancia l'apparente spensieratezza che traspare dai brani. Unico appunto è forse la voce stessa di Sergio, poco flessibile e troppo spigolosa nella cadenza, ma lo si supera agilmente vista la bontà complessiva di una proposta che riuscirà a soddisfare ampiamente palati fini e non.
martedì 27 maggio 2008
venerdì 18 aprile 2008
mercoledì 9 aprile 2008
Neronoia - Il Rumore Delle Cose. Eibon Records 2008.
venerdì 4 aprile 2008
Più Wong Kar-Wai per tutti.
venerdì 28 marzo 2008
Sito ufficiale
martedì 25 marzo 2008
venerdì 21 marzo 2008
giovedì 20 marzo 2008
Behold, Time Is Legend, And History Is Time. This Our Is Mine.
martedì 18 marzo 2008
lunedì 17 marzo 2008
Bert(Duvall): Se ti pisci nei pantaloni stai al caldo solo per un po'.
giovedì 13 marzo 2008
Un violinista decaduto, Louka(Zdenek Sverak, padre del regista), una volta famoso, sposa una donna russa per soldi. Lei ha solo bisogno di alcuni documenti. Quando la donna scappa via una volta ottenutoli abbandona suo figlio Kolya(che parla soltanto il russo). Louka, un uomo scontroso, ribelle, costretto alla sopravvivenza a causa della sua esclusione dall'orchestra filarmonica di stato per un diverbio con un burocrate del partito comunista dovrà prendersene cura. Al suo terzo film Sverak conferma a pieno il suo talento dirigendo una storia apparentemente semplice ma dagli aspetti di fondo complessi. Rapporto tra due estranei che non parlano la stessa lingua e di età agli antipodi in un contesto storico-politico ancora più ingarbugliato come quello che si è avuto sul finire degli '80. Due estranei, un "invasore"(Kolya, russo), ed un "invaso"(Louka, ceco). Scanzonato, tenero, divertente, "Kolya" è un film sulla paternità e sulla convivenza, sulla forza del sentimento che supera ogni tipo di ostacolo(la polizia segreta alle calcagna che vuole fare luce sul matrimonio "fasullo") e sul caso che con ineluttabile fermezza mette fine ad ogni "ostilità" con le manifestazioni di giubilo per la morte del regime comunista che posiziona tutti i personaggi dalla stessa parte. Oscar come miglior film straniero e lontano da ogni accondiscendenza lacrimevole. Qualche ruffianata, ma ironico, ottimista, delizioso.
martedì 11 marzo 2008
Anne lavora in una agenzia inglese a Londra. Perderà il marito accidentalmente in una sparatoria e si innamora di Alexander, fotografo macedone tormentato dai suoi stessi scatti e dalla volontà di tornare al suo villaggio anch'esso preda della guerra civile. Struttura complessa che lascia volutamente più di un punto in sospeso mentre il racconto non si ferma neanche in punto di morte. Il senso che si avverte è che la violenza non conosce limiti mentre l'uomo li mostra miseramente tutti. Qui alla seconda prova, Manchevski tiene insieme i tanti fili di un puzzle visivo toccante e lo fa con la maestria di un autore navigato. Sceglie un'ambientazione arcaica, paesaggi mozzafiato e spennellate di colori anticati che ti fanno capire da dove discende il film. E quella scomposizione (a)temporale della sceneggiatura, che rende lo scorrere del tempo la colonna sonora di un insieme di anime destinate a non trovare mai quiete, fornisce materia di discussione a volontà sul concetto del cerchio(finisce lì dove inizia) che non si chiude mai. Davvero un gran film. Leone d'oro a Venezia ex aequo con "Vive l'amour" di Tsai Ming-Liang.
lunedì 10 marzo 2008
sabato 8 marzo 2008
venerdì 7 marzo 2008
Miraculous you call it babe, You ain't seen nothing yet
They've got Pepsi in the Andes, McDonalds in Tibet
Yosemite's been turned into A golf course for the Japs
The Dead Sea is alive with rap
Between the Tigris and Euphrates There's a leisure centre now
They've got all kinds of sports They've got Bermuda shorts
They had sex in Pennsylvania
A Brazilian grew a tree
A doctor in Manhattan Saved a dying man for free
It's a miracle, Another Miracle
By the grace of God Almighty And the pressures of the marketplace
The human race has civilized itself
It's a miracle
We've got warehouses of butter, We've got oceans of wine
We've got famine when we need it, Got designer crime
We've got Mercedes, We've got Porsche, Ferrari and Rolls Royce
We've got choice
She said meet me In the Garden of Gethsemene my dear
The Lord said Peter I can see Your house from here
An honest family man Finally reaped what he had sown
A farmer in Ohio has just repaid a loan
It's a miracle
By the grace of God Almighty And the pressures of the marketplace
The human race has civilized itself
It's a miracle
We cower in our shelters, With our hands over our ears
Lloyd-Webber's awful stuff Runs for years and years and years
An earthquake hits the theatre But the operetta lingers
Then the piano lid comes down And breaks his fucking fingers
It's a miracle...
giovedì 6 marzo 2008
lunedì 3 marzo 2008
venerdì 29 febbraio 2008
giovedì 28 febbraio 2008
Sito ufficiale
mercoledì 27 febbraio 2008
Daniel Plainview: alcune volte guardo gli uomini e non ci trovo nulla di interessante.
Come darti torto.
lunedì 25 febbraio 2008
sabato 23 febbraio 2008
venerdì 22 febbraio 2008
film "Angeli Perduti". L'amore che finisce, la solitudine, la leggerezza nel raccontarle ed uno stile assai prossimo all'estetica da videoclip. Wong Kar Wai si fa conoscere al pubblico occidentale con un'opera di grande spessore ed un linguaggio filmico che in seguito farà proseliti. Fa muovere i suoi personaggi sullo sfondo di una Hong Kong frenetica e brulicante di luci e colori, li isola dal contesto ritraedoli in ralenty e slow-motion mentre la vita scorre e fa il suo corso. Videocamera in spalla, "Hong Kong Express" è un'idea che si trasforma in improvvisazione, quasi priva di sceneggiatura. Semplici e pochi dialoghi, un fiume di immagini ed una fotografia spettacolare di Chris Boyle. Ma c'è un tema sempre presente che corre lungo tutto la durate del film: l'inaridirsi dei sentimenti, quelli che hanno fine e quelli che non iniziano mai. Storie d'amore troncate e nuove avvolte nel mistero(primo episodio), desiderate e mai espresse chiaramente(secondo episodio). La sofferenza per quello che finisce e la paura per quello che potrebbe cominciare. Personaggi immersi in una malinconia persistente che perdono quello che hanno e temono quello che potrebbero avere. Una umanità fragile che stenta, che fatica a muoversi nei meandri delle passioni così dolcemente permeabile all'infelicità, così inevitabilmente vicina al corso della storia che vede Hong Kong diventare lentamente e tristemente cinese. Splendida colonna sonora, qualche ingenuità nel primo episodio, ma raccontato con una sincerità disarmante.
giovedì 21 febbraio 2008
Sito ufficiale
martedì 19 febbraio 2008
lunedì 18 febbraio 2008
che accoglie quella tipologia di malati con l'avanzare del morbo. Tratto da un racconto breve di Alice Munro e da lei stessa sceneggiato, "Away From Her" è un film non sulla malattia ma sulle consenguenze che questa comporta sul piano umano ed affettivo. Brava la Polley, qui all'esordio, a non cadere mai nella lacrima facile e nel sentimentalismo spicciolo che fanno solitamente da contorno ai film di genere. Il tema è trattato con una sensibilità di fondo discreta, quasi in modo riservato ed in apparenza, solo in apparenza algido come nella filmografia del grande regista canadese Atom Egoyan, cooproduttore del film del quale si avverte palesemente la presenza(e l'ispirazione). Girata in patria, in luoghi dove il tempo scandisce lentamente ogni secondo dell'esistenza, dove paesaggi innevati e vegetazione risultano ancora intatti - l'opportunità di sfruttare al meglio la fotografia non è stata per fortuna sprecata - la pellicola è uno struggente canto d'amore e di dolore di due persone sul viale del tromonto di una vita che vivono in modo consapevole accettandone l'amaro decorso finale. Straodinaria la Christie, funzionale l'uso del flashback e dei suoi tempi narrativi.
domenica 17 febbraio 2008
Eibon Records
Recensione già pubblicata su Hardsouds.it
sabato 16 febbraio 2008
Curiosità: entrambi gli attori protagonisti furono premiati a Cannen ex aequo in quell'anno. Ma Mehmet Emin Toprak morì tragicamente in un incidente d'auto alcuni giorni prima della premiazione.
venerdì 15 febbraio 2008
giovedì 14 febbraio 2008
Bobby(Farrell) è un ragazzo particolare e sensibile che passa dall'infanzia all'adolescenza e da questa all'età adulta, portando con sé e coltivando ciò che ritiene più importante nella vita: l'amore. Questo nonostante la perdita drammatica del fratello maggiore, ed in rapida successione di mamma e papà. Solo, viene accettato dalla famiglia di Jonathan(Roberts), suo amico, col quale intraprende un timido rapporto omosessuale. Separati dal college, dopo anni di distacco Bobby va a vivere a New York con Jonathan e Clare(Wright-Penn, con la quale divide l'appartamento). Seguiranno piccole turbi, incomprensioni, brevi dolorosi distacchi, fin quando una nuova nascita porterà con sé anche la consapevolezza(o la maturazione) dei tre, delle loro scelte definitive. "Una casa alla fine del mondo" è un film gracile, tratto da un successo autobiografico dello scrittore di Micheal Cunningham(e da lui stesso sceneggiato). Potremmo certamente parlare di un menage a trois del nuovo millennio, di un film sull'omosessualità, di un film sulla famiglia(vista non dal lato canonico), ma è soprattutto un film sull'amore, quello incondinzionato che travalica genere e sesso. Michael Meyer, regista off-Broadway al suo debutto, dirige in scioltezza senza mai calcare la mano lasciando scivolare la storia naturalmente, prendendo qualche rischio di troppo(superato da una sceneggiatura convincente), ma senza mai lasciare in sospeso la narrazione. Ambientato in una sognante America e partendo da Cleveland(dove si conclude) sul finire degli anni '60, il film si porta dietro per tutta la sua durata quell'aura eterea, surreale, utopica tipica di quegli anni, rafforzata da una costante, splendida colonna sonora(Jefferson Airplane, Patti Smith, Bob Dylan e molti altri), e da un cast d'attori credibile dove Dallas Roberts(attore di teatro) ruba la scena al più noto Farrell. "Una casa alla fine del mondo" è anche un film importante oltre che un buon film. Nonchè coraggioso e purtroppo snobbato da gran parte di pubblico. Coraggioso perchè uscì all'indomani di una campagna elettorale di quella parte dell'America uscita vincente dalle scorse elezioni anche grazie all'opposizione inquisitoria proprio contro i temi in esso trattati; importante perchè lo fa in modo assai leggero senza il bisogno di dovere a tutti costi convincere nè lo spettatore, nè l'opinione pubblica(virtù rara di questi tempi). Emozionante, inoltre, con un lungo dolce-amaro finale che lascia appena intravedere, seppur immerso in una poetica consolatoria, una solitudine forse prossima e definitiva che non aveva mai trovato posto, invece, in tutta la storia anche durante il periodo di vita peggiore.
Sito ufficiale
Recensione già pubblicata su Hardsounds.it
martedì 12 febbraio 2008
Il mènage a trois più famoso della storia del cinema in cui amicizia ed amore si librano tra città(Parigi), e montagne(austriache) dell’Europa della prima metà del secolo scorso con una purezza “ideale” difficilmente riscontrabile in altre opere cinematografiche e che rendono la pellicola un’entità eterea, impalpabile. Un film universale, libero, non convenzionale, tragico ma poetico, una poesia talmente alta che rende anche il gesto finale un atto d’amore inopinabile, “arbitrato” da un Truffaut incredibilmente raffinato e malinconico il quale, con mano leggera e cuore in orbita dirige senza mai invadere la sceneggiatura con personalismi di genere. Il film narra la storia di Jules(Werner) e Jim(Serre), due ragazzi, uno francese(Jim) ed uno austriaco(Jules) i quali trascorrono le giornate corteggiando donne fin quando, di ritorno da un viaggio in Grecia, incontrano Catherine(Moreau) e ritrovano lo stesso sorriso che avevano visto scolpito su una statua. Catherine li ama entrambi, ma sceglierà di sposare Jules. Inizia così lo sviluppo della trama che si dipana tra divisioni(i due combatteranno contro durante la prima guerra mondiale), ed incontri(Jules che invita Jim allo chalet in montagna dove vive con Catherine e una figlia), tra la passione labile di Catherine(che sente di non amare più Jules), e la rassegnazione di Jules che accetta l’amore di lei per Jim. Fino ad arrivare all’ultimo atto del film quando Catherine, sconfitta dalla sua stessa labilità affettiva compie un tragico gesto. Jules, distrutto, in un atto di libertà emotiva straziante, al di fuori del Tempo e dello Spazio e di ogni altro Ente confutabile, piangerà l'assenza di entrambi. Un film massacrato all'epoca per le scelte di Truffaut giudicate amorali, per il suo completo distacco e senza partecipazione/presa di posizione. Ma un film che sotterra ogni possibile critica sotto metri e metri di poesia e libertà spirituale. Un film che ancora oggi conserva un enorme fascino decantando l’incontenibile forza dell’amore. Quello puro, ideale e da molti inseguito ma quasi mai raggiunto e, forse, motivo per cui continuiamo a rincorrerlo.