venerdì 29 febbraio 2008



"La stupidità deriva dall'avere una risposta per ogni cosa. La saggezza deriva dall'avere, per ogni cosa, una domanda."


Milan Kundera

giovedì 28 febbraio 2008

Saviour Machine - II - MCM/Massacre Records - 1994

Seconda prova per la band cristiana per eccellenza e virata verso un sound meno pesante rispetto al disco d'esordio e più incentrato sulla teatralità e la drammaticità dei brani. Meno impatto immediato ed arrangiamenti più curati fanno di SM II una perfetta colonna sonora per un viaggio nei luoghi più oscuri della propria anima, quelli oppressi da mille ipotesi e dubbi ma pronti a schiarirsi al minimo accenno di luce. Quella luce che nella parte finale del disco si intravede dopo un tortuoso cammino di ben oltre un'ora attraverso estasianti brani, epici crescendo drammatici e ballate pianistiche dall'intensità emotiva struggente come "American Babylon", Ancora imperante e la prestazione vocale di Eric Clayton, sorta di Virgilio che conduce l'ascoltatore in un mondo suddiviso tra sofferenza e speranza, tra visioni oniriche e mistiche escursioni nei meandri delle fede cristiana, che si apre e si conclude con i due brani "Saviour Machine I" e "Saviour Machine II" che ripercorrono lo stesso tema musicale ma che rappresentano rispettivamente l'invito ad attraversare senza paura quella "confusione" prima, il raggiungimento finale della salvezza dopo. In questo bel mezzo tutta l'intensità, la passione, la credibilità di una band che si esprime al meglio e che affronta tematiche difficili, in alcuni momenti troppo volte alla glorificazione ma che non scadono mai patetico. Una band ed un lavoro maturi che come pochi altri lasciano il segno, come la conversione ad una fede prima difficile da fare entrare nel cuore e che ora senza di essa non si riuscirebbe ad accettare, in pace con se stessi, la morte. Immensi.

Sito ufficiale

mercoledì 27 febbraio 2008

Il Petroliere - di PT Anderson. Con Daniel Day Lewis, Kevin O'Connor, Paul Dano, Ciaran Hindis. Colore 158 min. Produzione Usa 2007.

Daniel Plainview, un cercatore d'argento di inizio secolo scorso nella desertica California che comincia a trivellare in cerca di petrolio. Diventerà un ricco produttore di oro nero. Un petroliere. Diventerà soprattutto un cinico, un bastardo, tradotto in un linguaggio corrente e spregiativo. Un film assolutamente fuori da ogni standard produttivo commerciale con cui Anderson si prende la sua bella dose di rischi. In fondo è questo il suo cinema se si pensa a "Magnolia" ed in particolar modo a "Boogie Nights". Irriverente, spietato, al limite del paradosso. Qui prende a pretesto il contrasto tra potere economico e fanatismo religioso e ne ricava una umanità schiava di sé stessa, avida, arida e maledetta. Non c'è posto per i sentimenti se non in un rapporto padre-figlio articolato e difficile che alla fine avrà comunque la sua amara conclusione. Cupidigia. Assenza di valori. Plagio. L'assoggettare persone con un concetto spirituale che va di pari passo ancora oggi con l'accumulare ricchezza. L'esercito delle infinite chiese e credi americani che qui trova la sua perfetta rappresentazione. E' questa la nascita di una nazione, quella che ancora oggi si rispecchia in Plainview e Eli Sunday(Paul Dano nella parte del predicatore), ma moltiplicatasi in maniera esponenziale. Profitto, profitto, profitto. Potere, potere, potere. Fotografia magistrale, scene di una bellezza straripante(quella dell'esplosione del pozzo la ricorderemo a lungo) ed interpretazioni da brivido. Quella di DD Lewis. Maestoso. Gli ultimi quindici minuti del film te li senti addosso, dentro. L'attore inglese entra nella leggenda. Un film senza macchia alla soglie del capolavoro assoluto. La rappresentazione di un cuore di tenebra. Beffardo ed insolente che oltre a scavare nel terreno scava dentro di sé trovando man mano sempre più buio. Petrolio nella terra, pece nelle sua anima. Oscurità ovunque.

Daniel Plainview: alcune volte guardo gli uomini e non ci trovo nulla di interessante.

Come darti torto.

lunedì 25 febbraio 2008

Un cuore in inverno - di Claude Sautet. Con Daniel Auteuil, Emanuelle Beart, Andrè Dussollier. Colore 105 min. Produzione Francia 1992.

L'incapacità di amare. Di rapportarsi agli altri senza provare sentimento non corrispondendolo. Un'altra fine lettura del cineasta francese sulla psicologia che contorna e condiziona i rapporti amorosi. Questa volta più cinico del solito: Stéphane(Auteuil) seduce e conquista Camille(Beart), donna del suo amico e socio in affari per poi respingerla quando lei cede al suo corteggiamento. Un film misurato e per certi versi algido. Atmosfera decadente e scenografie sobrie mentre sullo sfondo si muovono l'arte liutaia e la musica classica. "Un cuore in inverno" è un'opera che si fa strada con amarezza tra le pieghe dell'animo umano e tra gli inestricabili intrecci della mente. Mette in gioco cuore e cervello, illusioni e sprezzo e ci dice che l'amore è sicuramente un gioco, ma soprattutto un gioco sadico che può fare molto male. Alla fine, con eleganza, Sautet non offre vie di fuga ai sentimenti. Li ricopre di quell'alone misterico che inseguiamo ogni volta nonostante non sappiamo mai cosa possa riservarci. In fondo è per questo che amiamo, perché pur potendo elencare una serie di motivi più o meno validi per tutti che ci legherebbero ad un'altra persona è il mistero a tenerci insieme. A mantenerci vivi. Lo stesso mistero che non riesce ad avvicinare Stephane a Camille: lui non crede nelle passioni. Allora decide di ritornare per sempre in letargo, nell'interminabile inverno interiore che custodisce il suo cuore arido. Arido, ma lontano dalla sofferenza. Lontano...