mercoledì 9 gennaio 2008

Fino alla fine del mondo - di Wim Wenders. ConWilliam Hurt, Sam Neil, Max Von Sydow, Jeanne Moreau, Solveig Dommartin. Colore, 158 minuti. Produzione Germania/Francia/Australia 1991.

Il mondo attraverso un viaggio metafisico, le persone(familiari) lontane e separate dalla distanza dei continenti, la fuga(da se stessi?), la meta(ritrovarsi), le immagini(futuristiche), i sogni(sintetici ma non antitesi dell’onirismo classico), integrazione(sconcertante) fra culture agli antipodi, entrambe ed in modi differenti assuefatte dalla tecnologia(tranne l’eccezione) nei momenti che precedono la caduta di un satellite per le comunicazioni satellitari nella pellicola più controversa del cineasta tedesco. Un road movie ridondante di elementi che interagiscono tre essi per accumulo di materiale e non con la fluidità voluta da molti critici che hanno etichettato il film come “confusionario”. Una interazione, invece, affascinante proprio per il modo in cui è stato sceneggiato/montato: Wenders rende giustizia all’incontenibile incompiutezza dell’animo umano, al senso di smarrimento della coscienza dell’uomo alle porte del nuovo millennio(la storia è ambientata nel 1999) ed alla difficoltà delle comunicazione attraverso la parola ormai soppiantata dalle immagini e dalla tecnologia, con mini-storie a sé stanti ambientate in altrettanti luoghi distanti l’uno dagli altri, ma legate da personaggi alla ricerca di un unico ricordo da registrare(straziante in tal senso il ricordo come entità presente, e non da ricercare nel tempo andato) e che potrebbe ridare la “vista cerebrale” a chi il presente non ha potuto vederlo. Un mondo nuovo che condurrà alla morte la Moreau(per l’apparente gioia o per non avere saputo reggere l’impatto col mondo odierno?), madre cieca di Trevor(Hurt), il quale si trascina per i continenti alla ricerca di immagini da registrare grazie ad un congegno digitale ideato e da consegnare al padre, Dr. McPhee(Von Sydow), che ha costruito un laboratorio ipertecnologico nel deserto australiano nel bel mezzo di una comunità di aborigeni e che trasmetterà al cervello della moglie per ridarle la “vista”. Il viaggio di Trevor è contornato da diverse altre figure: dalla compagna di viaggio Claire(Dommartin, moglie di Wenders), e di lui innamorata, dal detective super accessoriato che li insegue dappertutto al soldo del convivente(Neil) di Claire, da un agente segreto della Cia che tenta di impossessarsi del congegno “cattura-immagini”, e da una carovana stravagante di altri soggetti. Sullo sfondo, le metropoli e le grandi città attraversate dai personaggi: Venezia, Mosca, Lisbona, Tokyo, Berlino fungono da tappe sfuggevoli senza mai dichiararne l’effettivo fascino ma che rendono ancora meglio l’idea dello smarrimento dell’uomo moderno afflitto dalla sua stessa idea della (fanta)scienza. Certo i punti negativi non mancano: affiora a volte la sensazione di troppi finali, di qualche spunto solo accennato e mai sviluppato, ma l’innumerevole quantità di cose che Wenders affronta(senza compiacimento alcuno) , le immagini ad altissima risoluzione, i differenti generi trattati, una colonna sonora tra le migliori ascoltate negli ultimi anni(U2, Talking Head, Nina Simone…), li affonda in pochi attimi ed affiorano solo a mente fredda come in questo preciso momento. Un’unica chiave di lettura del film, dopo tutto quasi due ore e mezza di proiezione, potrebbe essere la frase dell’aborigeno che nel finale commenta lo smarrimento di Trevor nelle lande desertiche ed al quale aveva consigliato di dormirci per espiare il dolore grazie all’aiuto degli spiriti dei suoi antenati: “….ma è difficile trovare un uomo perduto nel labirinto della sua anima”. Ecco l’uomo, anche se spinto da lodevoli propositi, che non riesce ad afferrare il senso della sua esistenza dinanzi al dolore e dinanzi ad un mondo capace, almeno inizialmente, di dare speranza attraverso la scienza “digitale”. Wenders anticipa i tempi e lo fa in modo oggi comprensibile con la “confusione” che alcuni hanno visto in questa sua opera al tempo. La sua “confusione”, visionaria ma frammentata, fredda ma ispirata, è la confusione del nostro tempo attuale.

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