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lunedì 10 giugno 2019
martedì 19 luglio 2016
Ho fatto nella pioggia la strada avanti e indietro.
Ho oltrepassato l’ultima luce della città.
Ho incontrato la guardia nel suo giro
Ed ho abbassato gli occhi, per non spiegare.
Quando da molto lontano un grido strozzato
Giungeva oltre le case da un’altra strada,
E ancora più lontano, a un’incredibile altezza,
Sullo sfondo del cielo un orologio illuminato
Io sono uno che ha confidenza con la notte.
domenica 31 luglio 2011
Vecchi brani rivisti e riarrangiati in questo doppio CD. Ma non è sufficiente a discrevere 'Evinta' perchè, in pratica, è un nuovo album a tutti gli effetti. Quelle proposte sono versioni talmente elaborate e stilisticamente diverse rispetto alle originali che i brani suonano assolutamente come nuovi. Un lavoro enorme di rielaborazione che trasforma i classici della band in suite orchestrali, sinfoniche, in cui sono gli strumenti acustici a tracciarne le melodie ed a strutturarli come operette classiche. Il discanto di Aaron e l'ugola di un soprano, poi, si alternano di composizione in composizione enfatizzando il senso drammatico di un disco autunnale e malinconico come da sempre i My Dying Bride ci hanno abituati, e nell'occasione ancora più profondo, intenso. Questo grazie anche alla partecipazione all'opera di Johnny Maudling - Bal Sagoth - il quale si occupa dei nuovi arrangiamenti badando al necessario, senza strafare, calandosi nell'universo emozionale della band inglese con umiltà e partecipazione. Un lavoro da camera, quindi, che accosta i doom-deathster a realtà consolidate come Dark Sanctuary ed Elend, ma personale, introspettivo, in cui è sempre evidente la loro poetica desolata e dolorante, romantica e decadente. Gradazioni ambient fanno il resto, coprendo 'Evinta' con un velo d'inquietudine quando le aperture orchestrali scemano verso la dilatazione sonora prima, nel silenzio dopo. Per diventare, infine, grandiosamente arte.
venerdì 21 gennaio 2011
"Questa polvere di vita
che mi riempie la gola
è specchio di un'anima
invisa a sè stessa
che si guarda sbagliare
senza mai imparare..."
Il sesto album in studio dei Canaan conferma la vena stilistica della band, nonchè quella emotiva. Dark-wave, ambient e vagiti elettronici al servizio dell'introspezione pura. Connubio che se apparentemente potrebbe indurre a pensare al solito indigesto polpettone triste e malinconico, i fatti invece dimostrano che ci troviamo al cospetto dell'ennesimo capolavoro della band lombarda. Dopo l'esaltante esperienza con Neronoia - Un Mondo In Me, e Il Rumore Delle Cose - dopo il bellissimo The Unsaid Words, 'Contro.Luce' si staglia sopra ogni altra produzione di Berchi e soci e diventa indubbiamente il manifesto definitivo della band. Non perchè non ci siano margini per progredire, anzi, ma allo stato delle cose riesce difficile pensare si possa fare meglio data l'eccellenza dell'album in questione: maturo e sperimentale, coacervo di umori e sensazioni infinite, oscuro e malato, oppressivo e doloroso, ma di pari passo cedevole, indulgente, a tratti delicato, poetico. Ben ventuno brani che scorrono via senza arrecare affanni tra ritmiche dilatate e lente, suoni filtrati, effetti, innesti etnici di matrice mediorientale, tappeti ambient, orchestrazioni - della Universal Choas Orchestra - melodie che ti si piantano dentro e crescono man mano con l'andare del brano, per poi sbocciare definitivamente...sempre dentro. Riflessivo e conturbante, in solenne e perpetuo chiaroscuro, 'Contro.Luce' è completamente cantato in italiano e soltanto da Mauro il quale riesce a trasmettere il colore ed il calore necessari ad ogni testo, in ogni contesto. Disco perfetto? No, ci mancherebbe, ma se lo fosse probabilmente non sarebbe qualitativamente immenso come dimostra di essere: qui è fondamentale anche il fascino dell'imperfezione - poche, pochissime - segno che nel suo incedere maestoso l'album trasmette dignità anche ai difetti. Virtù che solo i più grandi possiedono, ed i Canaan ormai grandi lo sono per davvero.
"Quando chiudere gli occhi somiglia un po' a morire
Quando chiudere gli occhi vuol dire svanire
Deve esserci un modo per togliere le spine
Deve esserci un modo per spegnere il dolore nel cuore
senza farlo sanguinare
Dal profondo di un cuore in rovina
si ritorna finalmente a respirare
l'aria pura del mattino"
Un divenire di emozioni senza fine.
lunedì 3 gennaio 2011
sabato 1 gennaio 2011
Ancora una variazione sul tema per il nuovo album degli Agalloch. Ancora un disco di carattere, pregno di personalità ed emotivamente strabordante. Se 'Marrow Of The Spirit' si forgia di quella malinconica vena di fondo presente in tutti i lavori della band di Portland, è anche vero che l'album fa registrare un indurimento del suono, ed un ritorno in parte al black metal delle prime apparizioni sulla scena. Questo senza mai perdere di vista le strade intraprese fino all'eccezionale 'Ashes Agaisnt The Grain', quindi sfumature folk, brevi accenni gothic e quotati struggimenti strumentali tipicamente post-rock. Una sorta di rimescolamento di carte in cui convivono le varie anime del gruppo in un'unica opera, questo in occasione del cambio di etichetta e dell'ingresso in formazione di un nuovo drummer, Aesop Dekker, il quale rinvigorisce la ritmica dando il giusto apporto dinamico al lavoro. Meno dilatazioni, meno progressioni e stile più definito, quindi, e brani di conseguenza che mirano più all'aspetto evocativo, emozionale, che a quello "sperimentale". Poco male in quanto il risultato finale non cambia affatto: 'Marrow Of The Spirit' è un concentrato di violenta spiritualità, colonna sonora di tormentate sere invernali trascorse alle prese con sè stessi. Soffuso, introspettivo e di pari passo gravido di rabbia. Si lancia nei meandri oscuri dell'anima, in foreste innevate dove il tempo sembra essersi arrestato, e riesce a trovare spiragli di luce inaspettati. Drammatico, teatrale, a tratti orchestrale, ci consegna gli Agalloch ancora una volta ispirati che nel rilasciare la summa della loro arte trovano di nuovo modo per guardare avanti: la parte centrale di "Black Lake Nidstang", brano di diciassette minuti, si caratterizza con una nenia di ambient e psichedelia da favola, segno che solo chi sa veramente osare riesce veramente a creare, ad essere leader, e non un follower.
Ancora un passo avanti, ancora oltre, ancora grandi. Ancora Agalloch.